Puccini, la star

Teatro Ghione, Roma – 18 novembre 2023

Silvia Pasini, Mezzosoprano – Luciano Siani, Direttore

La tregenda da Le Villi
In quelle trine morbide da Manon Lescaut
Intermezzo da Manon Lescaut
Crisantemi, elegia SC 65
Tu che di gel sei cinta da Turandot

Vissi d’arte da Tosca
Le campane suonano mattutino da Tosca
Intermezzo da Suor Angelica
O mio babbino caro da Gianni Schicchi

Ho sempre portato con me un gran sacco di melanconia. Non ne
ho ragione, ma così son fatto. Dicono che è segno di debolezza la
sentimentalità. A me piace tanto essere debole! Ai così detti forti
lascio i successi che sfumano: a noi quelli che rimangono!

Così Giacomo Puccini scriveva in una lettera datata 1919 a Giuseppe Adami, chiaramente consapevole di aver creato opere che, inevitabilmente, sarebbero rimaste immortali.
Le opere di Giacomo Puccini si sono distinte, fin dalla loro primissima messa in scena, per la loro capacità di cogliere la modernità. Il suo teatro musicale, infatti, fu in grado di adattarsi al pubblico che l’avrebbe abitato, consapevole che, solo inglobando nella musica colta alcuni tratti di corruzione dettati dal moderno, sarebbe stato possibile instaurare e mantenere un rapporto con la realtà. Ciò, ovviamente, fu oggetto di forti critiche da parte di studiosi successivi a Puccini, i quali obiettarono l’asservimento della sua musica alle richieste del pubblico. In realtà, fu proprio questo a garantirgli il successo: egli fu in grado ‹‹di confezionare prodotti che riducessero al minimo i tempi di decodifica e assicurassero un’immediatezza di consumo maggiore possibile››. (Alessandro Baricco)

Puccini fu, per questi motivi, una vera e propria star e, nonostante le poche opere scritte, riuscì a emozionare il grande pubblico e reggere l’impatto con la modernità. Seppe abbattere le barriere tra musica colta e musica leggera, con l’unica grande differenza che a quei tempi la musica leggera non esisteva ancora.
Esemplificatrice è, a questo, punto la considerazione di Alessandro Baricco in L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin sul teatro musicale pucciniano, che recita:

Il problema, per lui, era quello di creare un’idea nuova di spettacolo.
Questa è l’essenza vera del suo lavoro: cercava un’idea di spettacolo
che potesse reggere all’impatto con la modernità. Tutto il suo lavoro
va giudicato in relazione a questa ambizione, a questa acrobazia.

Puccini riesce a parlare ancora oggi trasversalmente sia agli intenditori che agli amatori, non venendo mai meno alla densità compositiva drammaturgica e orchestrale. Ciò è riscontrabile sia nelle opere giovanili, come Le Villi (1884) e Manon Lescaut (1889), sia nelle opere della maturità come Tosca (1900). Qui, in una prospettiva storica, si intreccia il tema politico rivoluzionario a quello più spiccatamente drammatico e sentimentale. La cifra distintiva dell’opera risiede proprio nel trattamento del male e dell’eros: il primo inteso come entità autonoma, ‹‹una forza propriamente demoniaca, esterna e nemica››, il secondo come puro impulso sprovvisto di trascendenza. Così, nel clou dello scontro con Scarpia, Tosca canta Vissi d’arte, in un andante lento e appassionato. Puccini, nella sua minuziosa stesura della partitura, prescrive di cantare e all’orchestra di suonare in modo «dolcissimo con grande sentimento». La musica in quest’opera tende ad incalzare gli avvenimenti, evitando l’uso di formule o situazioni convenzionali.
L’ultima delle sue opere, Turandot (1926), è sicuramente l’esito riassuntivo di tutta l’esperienza pucciniana: si tratta, infatti, di un’opera singolare che si distingue per ‹‹l’arditezza della scrittura armonica e orchestrale›› (Guido Salvetti), in un susseguirsi continuo di dissonanze, accordi politonali ed echi impressionisti.

Language